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Occidente Stasys Šalkauskis la sua idea di Lituania
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Andrea Griffante
Tra Oriente e Occidente Stasys Salkauskis
e la sua idea di Lituania
al | Beit
© 2016 Beit casa editrice, Trieste © 2016 Andrea Griffante
www.beitcasaeditrice.it ISBN 978-88-95324-48-7 Il presente è stato realizzato grazie al finanziamento della Lietuvos mokslo taryba (contratto n. LIT-9-
9). La sua realizzazione è avvenuta in collaborazione con l'Università “Vytautas Magnus” di Kaunas.
VYTAUTAS MAGNUS UNIVERSITY
MCMXAII
In copertina: Stasys Šalkauskis (1927 circa). Originale conservato presso il Kauno Technologijos universiteto muziejus. In quarta di copertina:la città di Vilnius in un'immagine d'epoca.
La scheda bibliografica è riportata nell'ultima pagina de! libro.
INDICE
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INTRODUZIONE La complessità dello stare nel mezzo
PARTE PRIMA Tra Oriente e Occidente: la Lituania come spazio e storia
di un confine
PARTE SECONDA Stato nazionale e civiltà nazionale: l'educazione al confine
AI posto delle conclusioni: dell'attualità di un'idea Note ai capitoli
Indice analitico
INTRODUZIONE
LA COMPLESSITÀ DELLO STARE NEL MEZZO
CONFINI E CONCEZIONI DELLO SPAZIO
Pochi sono probabilmente i termini che per storia e com- plessità possono paragonarsi a quello di confine. Già nel suo pri- migenio utilizzo agrimensorio il confine indicava un punto dello spazio in cui due diversi terreni si incontravano. Il confine si pre- sentava pertanto come uno strumento che spezzettando lo spazio in subunità ne ricomponeva la totalità come insieme di parti. Seb- bene il confine e il suo duplice carattere - quello di unire le parti dello spazio all'atto stesso della loro divisione - siano divenuti pro- gressivamente centrali per la definizione delle “identità” collettive grazie al consolidamento della statualità moderna, proprio la dif- fusione di quest’ultima ha moltiplicato la gamma di termini e si- gnificati legati alla costruzione dello spazio.' Tra i primi a emerge- re troviamo il francese frontière con cui si definivano strutture di difesa militare. Attestato per la prima volta nel xiv secolo, a partire dal xvi secolo esso godette di particolare fortuna nella letteratura di lingua inglese. Un analogo campo semantico ricoprivano il te- desco Grenze e lo slavo granica / epanuya con cui veniva designata la linea militare che separava popolazioni slave e tedesche durante l'avanzata dell'Ordine teutonico.?
Se il x1x secolo ha registrato una crescente attenzione al con- cetto di confine con la distinzione tra una sua dimensione lineare (la linea di divisione o frontier) e spaziale (lo spazio circoscritto dal confine o boundary} è stato nel corso del xx secolo che tale riflessione si è massimamente sviluppata. La doppia dimensione, lineare e spaziale, dei confini è andata riassumendo la divisione del globo in Stati territoriali in potenziale reciproca tensione po- litica (frontier) e soggetti alla propria esclusiva sovranità (bounda-
ry).+ Sempre maggior peso ha infine assunto il confine territoriale come precondizione simbolica per la definizione dell'identità col- lettiva e dell'alterità.5
Proprio quest'ultimo aspetto testimonia della rivoluzione avvenuta attorno al concetto di confine nel corso del Novecento. Già al principio del secolo il sociologo tedesco Georg Simmel ha descritto il confine come il prerequisito logico di qualsiasi proces- so identitario. Tramutando il confine in una categoria sociologica, Simmel ha trasformando i confini territoriali e i loro significati in una delle tante forme in cui i campi dell'identità e dell’alterità umane prendono corpo. Il confine si è così inserito in una nuova concezione della territorialità come elemento coessenziale all’uo- mo? che delinea le forme di uno spazio concepito come ‘|...] una mappa cognitiva secondo la quale viene ordinata la vita sociale. Lo spazio è un'idea generale che formano i soggetti determinando dove le cose debbano interagire fisicamente e culturalmente le une con le altre” Di conseguenza, i confini delineano gli estremi di mappe cognitive sulla cui base si formano il sé e il suo contrario.
Nel caso della Lituania novecentesca, le mappe cognitive attor- no alle quali il discorso collettivo si è formato denotano un anda- mento estremamente tormentato figlio delle vicissitudini che por- tarono alla creazione dello stato-nazione.?° Nel corso del xix secolo, i territori dell'ex Granducato erano stati l'oggetto di un processo di appropriazione simbolica da parte delle élite zariste interessate a sottolinearne l’origine russa (uckonno pyeckue semnu) per contrasta- re il revanscismo polacco e, possibilmente, guadagnarsi l'appoggio dei giovani movimenti nazionali sorti su quei territori.” Ancora nella seconda metà del secolo, con il termine Lituania il discorso pubblico di lingua polacca designava — nella totalità o in parte — le terre appartenute al Granducato di Lituania di età moderna e sot- toposte al diretto controllo della Russia zarista dopo le spartizioni tardosettecentesche della Federazione delle due nazioni.” Lungo i secoli della sua esistenza, la classe nobiliare di quei territori aveva concepito la lituanità come l’espressione di un'appartenenza terri- toriale nel rispetto della partecipazione a una comune entità politi- ca con la Polonia. Nella seconda metà del xıx secolo, il venir meno delle antiche lealtà di ceto e la crescita del movimento nazionale lituano su base etnica determinarono l'insorgenza di nuovi discorsi in reciproca tensione. Pur ormai privato delle reminiscenze regio-
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nalistiche, il discorso polacco non rinunciò ad avocare a spazio del- la nazione tutti i territori dell'ex Repubblica nobiliare, ivi compresi quelli dell’ex Granducato di Lituania.
Del vero, nel discorso polacco ottocentesco e primonove- centesco le terre orientali dell'ex Repubblica nobiliare venivano solitamente abbracciate dalla categoria di kresy. Nati come mito letterario romantico di integrazione della città con la campagna con chiari rimandi storici, nell'immaginario del moderno nazio- nalismo polacco i kresy assunsero via via il ruolo di periferia ect- nicamente mista in rapporto di ideale sottomissione al centro“ e aventi storicamente un ruolo difensivo nei confronti dell'Orien- te.'° Nel complesso, i kresy divennero parte di quell'immagine del- la Federazione delle due nazioni come Antemurale Christianitatis d'Europa nei confronti dell'Oriente che aveva vissuto il proprio periodo di gloria in epoca moderna.”
A questa concezione dello spazio se ne opponevano altre. Tra gli strati di lingua polacca dell'ex Granducato, la coscienza dell'irre- versibilità dei mutamenti sociali e politici intervenuti nel corso del XIX secolo — primi tra tutti l'abolizione della servitù della gleba e la democratizzazione del corpo sociale di quelle terre - fu alla base di una variegata sostanzializzazione dei kresy. Rifacendosi a un'idea di cittadinanza territoriale ispirata a quella che aveva caratterizzato il Granducato, gli esponenti del movimento politico-culturale noto alla storiografia come krajowcy riconobbero, pur con qualche ecce- zione, la legittimità della scomposizione del territorio del Grandu- cato in entità maggiormente corrispondenti alle necessità economi- che e politiche del nuovo panorama sociale.'*
Maggiore fu la rottura apportata dal movimento nazionale li- tuano. Seppur coltivando orizzonti politici tra loro non omogenei e uno spettro della cittadinanza esteso dall'esclusivismo etnico al na- zionalismo civico, le varie anime del movimento intesero come Li- tuania solamente i territori “etnicamente lituani” dell'ex Granducato e corrispondenti all'incirca ai governatorati generali zaristi di Kau- nas e Vilnius e a parte di quelli di Suwałki e Grodno. Mentre nel caso dei krajowcy il proprio spazio venne costruito integrando la me- moria del Granducato con il mutato panorama economico-sociale, il movimento lituano parve presto avere molie meno remore nella cre- azione di uno spazio esclusivo e contrapposto tanto alla Russia zari- sta che ai rimanenti territori della ex Federazione delle due nazioni.
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LITUANIA ETNICA E MODELLI STORICI
La nascita dello Stato nazionale lituano entro i suoi confini etnici segnò la definitiva spartizione del patrimonio simbolico dell'ex Granducato? e il trionfo del modello chiuso lituano, seppur inizialmente plasmato garantendo entro i suoi confini un certo grado di autonomia a ebrei e bielorussi. Come mappa cognitiva, il modello etnico rispecchiava in maniera chiara tanto | orientamen- to politico della classe politica lituana alla nascita dello Stato indi- pendente che la natura del discorso storico dominante fin dall'alba del nuovo secolo.
Negli ultimi due decenni del x1x secolo la progressiva diffu- sione del movimento nazionale lituano aveva portato a un pro- gressivo mutamento del canone storiografico. La comparsa dei periodici clandestini «Aušra» e «Varpas» era stata accompagnata dalla diffusione di un canone storiografico in linea con la tradi- zione anti-illuministica e romantica europea.” Nella prima parte del secolo, l’indoeuropeistica aveva sottolineato il particolare grado di arcaicità del lituano. Fin da Simonas Daukantas, l’autore della prima storia della Lituania in lingua lituana, la storiografia roman- tica aveva trovato nel patrimonio linguistico (etimologia) e della letteratura popolare la materia per la propria narrazione. Jonas Basanavičius, fondatore di «Aušra» e simbolo dell'epopea dell’At- gimimas (rinascita) lituano, fu tra gli autori più prolifici di questo filone a fine secolo. L'attenzione di Basanavičius alle origini della nazione lituana ne pose in risalto soprattutto la natura orientale, considerata come la fonte di una superiorità di cui erano testimoni, oltre alla lingua, le forme del paganesimo lituano. L'accentuazione del grado di perfezione e bellezza della lingua si riallacciava alla convinzione dell’esistenza di un parallelismo tra le bellezze di un idioma tanto arcaico e le altre espressioni del suo Volksgeist: la leg- ge, la filosofia, l’arte e qualsiasi forma della sua cultura.?? La ricerca dell'età dell oro in un vero e proprio mito delle origini faceva tut- tavia passare in secondo piano l'evoluzione storica del Granducato ed estrometteva in buona misura dalla narrazione il cattolicesimo, considerato un elemento acquisito e altro da quanto costituiva la natura originaria dei lituani. Il riferimento all'Oriente rispecchiava pertanto il mito indo-ariano diffuso nella letteratura romantica eu- ropea del xix secolo che assicurava agli eredi in linea diretta degli
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arii un'antichità ammirevole e ne garantiva la purezza spirituale.” A inizio Novecento, tuttavia, un secondo impianto storico- narrativo si stava sviluppando. Tale tendenza trovò espressione compiuta nella Lietuvos istorija (Storia della Lituania, 1906) del prete cattolico e poeta Jonas Mačiulis-Maironis. Sebbene asso- lutamente coerente con la tendenza chiaramente e fortemente antipolacca che già emergeva dalla fascinazione romantica di J. Basanavičius e di altri pubblicisti coevi come Jonas Šliūpas, il perno della narrazione si spostava da un'atemporale età dell'oro al vissuto storico e politico della nazione. Cadenzata da un movi- mento naturalistico di crescita, caduta e rinascita, la narrazione maironiana individuava nell'età dei granduchi medievali il perio- do di massima gloria della nazione lituana e del suo Stato. Ad esso era seguita la caduta, risultato del processo di “polonizzazione” delle strutture dello Stato e della cultura cui solo la “rinascita” ot- tocentesca della nazione aveva cercato di porre rimedio. La nar- razione, che nel periodo tra le due guerre mondiali divenne sotto l'impulso di Adolfas Sapoka il canone dominante della storiografia accademica, rifletteva chiaramente l’etnocentrismo imperante nel discorso pubblico. Per quanto tanto l'Oriente — che abbandonava il suo carattere indo-ariano per assumere i caratteri euroasiatici del dominio moghul e zarista - che l'Occidente — in cui alle scorrerie dei Cavalieri teutonici si annodavano i ben più duraturi legami con il regno di Polonia — venissero identificate con entità avverse allo sviluppo della lituanità, diverso era il giudizio sul loro rap- porto. Sul vicino occidentale — la Polonia - veniva fatta ricadere la massima responsabilità morale per la snazionalizzazione della classe politica del Granducato dopo l'Unione di Lublino (1569) e finanche per le spartizioni della Federazione delle due nazioni.” L'antipolonismo attorno a cui il moderno nazionalismo etnico lituano era andato formandosi aveva almeno parzialmente neutra- lizzato la tendenza invalsa in Europa fin dalla classicità a identifi- care l'Oriente tout court con il dominio dell'alterita.** Le vicende legate alle primissime fasi di vita dello Stato nazionale lituano, non fecero che dare sostanza a un orientamento che è possibile definire anti-occidentale. L'occidente lituano aveva dei contorni ben precisi, quelli di Germania e Polonia. Le volontà coloniali della Germania, evidenti durante l'occupazione del 1915-1918 erano ancora ben im- presse nella memoria della nuova classe politica. Nel corso del pe-
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riodo tra le due guerre sia la Polonia che la Germania avevano poi creato ostacoli alla realizzazione dello Stato lituano entro i confini etnici immaginati all’inizio del xx secolo, la prima con Voccupazio- ne della regione di Vilnius nel 1920, la seconda con l'occupazione di quella di Klaipéda nel 1939. Al respingimento di Polonia e Ger- mania in una categoria politica di Occidente quantomeno poco cor- diale, faceva eco una visione dell'Oriente - la Russia sovietica - che nonostante le divaricazioni ideologiche rimaneva in certa misura congeniale alla vita del nuovo Stato che aveva per prima ricono- sciuto de jure e a cui, nel 1939, riconsegnò la regione di Vilnius.”
Come molti altri paesi nati dalla conflagrazione degli imperi europei, la Lituania rappresentava uno spazio di frontiera — per definizione conflittuale — tra grandi potenze. Sotto altre spoglie, la frontiera era presente anche all’interno del nuovo Stato, dove Vetnicizzazione della politica metteva progressivamente in peri- colo l'unitarietà stessa del tessuto sociale, formato, oltre che dai lituani, anche da ebrei e polacchi. In tale contesto, l’etnocentrismo della narrazione storiografica dominante già a inizio secolo diven- ne uno degli strumenti per la forgiatura della coscienza nazionale, la mobilitazione della cittadinanza e la cancellazione dell'alterità dallo spazio della nazione.
L'ALTERNATIVA DI UN MODELLO: STASYS ŠALKAUSKIS
L'Oriente, l'Occidente e la posizione mediana della Lituania hanno rappresentato nel corso del periodo tra le due Guerre mon- diali i cardini di un (sottosfruttato) canone storiografico-culturale alternativo a quello dominante di cui Stasys Salkauskis fu il teoriz- zatore. Il presente studio si propone di analizzarlo.
Salkauskis nasce nel 1886 ad Ariogala, nell'attuale Lituania centrale, dal medico lituano Julijonas e Barbora Goštautaitė, donna di nobili origini cresciuta in un ambiente colto di lingua polacca. Dopo un primo trasferimento a Riga a seguito della professione del padre, la famiglia finisce per stabilirsi nel 1890 a Siauliai. Com- piuti gli studi ginnasiali, nel 1905 Salkauskis inizia a Mosca gli studi universitari in Legge. L'esperienza moscovita dura tuttavia meno di tre anni. A causa di problemi polmonari nel 1908 il gio- vane si vede infatti costretto a trasferirsi nel clima più secco di
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Samarcanda, allora parte del Turkestan russo, e a recarsi a Mosca solo in occasione delle sessioni d'esame. Conclusi positivamente gli studi nel 1911, il giovane continua la permanenza a Samarcan- da cominciando a lavorare all’interno di una banca commercia- le. Nel 1912-1913 Salkauskis inizia la sua collaborazione con due delle principali riviste cattoliche lituane — «Ateitis» (Il Futuro) e «Draugija »(L'Associazione). È quest'ultima a pubblicare nel 1913 il saggio Bažnyčia bei Kultūra (Chiesa e Cultura), prima formula- zione dell'idea di sintesi che diverrà uno dei temi portanti della scrittura šalkauskiana.
Con l'appoggio dell'intellettuale cattolico Aleksandras Dambrauskas-Jakštas nel 1915 Šalkauskis si trasferisce in Svizze- ra all'Università di Friburgo per gli studi di dottorato. Ritornato nell'ormai indipendente Lituania nel 1920, nel 1922 Šalkauskis inizia la sua carriera accademica presso la neonata Università di Lituania (di cui sarebbe diventato rettore nel 1939), accompa- gnandola con una ricca attività pubblicistica. Pur non entrando direttamente in politica, Šalkauskis diviene una delle figure di ri- ferimento della gioventù cattolica lituana (ateitininkai). Dalla metà degli anni venti partecipa attivamente alla riorganizzazione del movimento elaborando una piattaforma programmatica incentra- ta sul cattolicesimo quale elemento universalizzante della cultura nazionale equidistante tanto dall'internazionalismo socialista che dalle chiusure dello sciovinismo. Anche dopo il colpo di stato che alla fine del 1926 portò al governo Antanas Smetona e il suo re- gime autoritario di destra, Salkauskis rimane una voce critica che confermò le idee già espresse come ideologo degli ateitininkai. In condizioni di salute sempre più precarie ed estromesso dall'inse- gnamento universitario fin dall'occupazione sovietica del 1940, muore nella casa parentale di Siauliai il 4 dicembre 1941.
Come vedremo, il modello šalkauskiano richiama molti degli elementi presenti fin dall’inizio del secolo nella narrazione storio- grafica dominante. Trasformando la storia della Lituania nel dia- logo tra Oriente e Occidente e sostanzializzandone la dimensione spaziale in un confine avente un'incessante funzione osmotica, Salkauskis dotò tuttavia il suo modello, che pur presenta alcuni punti critici, di una dinamicità altrove assente. Tale dinamicità si rifletté a due livelli: internamente, come impegno morale alla sin- tesi di cultura popolare e intellettuale, ed esterna, come rapporto
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di interazione con le principali potenze politico-culturali della re- gione.
Lo studio si sviluppa in due parti e una nota conclusiva. Nella prima parte mi concentrerò attorno all'analisi di Sur les Confins de deux Mondes, il primo scritto in cui il canone šalkauskiano trovò espressione. Studierò le forme del concetto di nazione e degli altri principali concetti impiegati nell'opera, nonché il canone storio- grafico entro cui essi vengono utilizzati. Nel secondo, mi focaliz- zerò sui cambiamenti e le integrazioni apportate durante gli anni venti e trenta ai principali concetti utilizzati in precedenza. Nel- la nota conclusiva mi soffermerò quindi brevemente sull'utilità del canone e dei concetti šalkauskiani nel contesto della Lituania
odierna.
Prima di lasciare il posto alla parte analitica del volume, desidero concludere con un'ultima nota. Le pagine che seguono sarebbero state impensabili senza la vicinanza di alcune perso ne: di mamma Anna Lisa e babbo Augusto, che fin da principio, nell'inverno del 2003, credettero nella follia lituana del figlio; di Iza, divenuta nel tempo compagna migrante e moglie; e di Agata, inconsapevole viaggiatrice che allieta oggi le nostre giornate con gridolini e sorrisi. A loro quattro, sostegno e forza, dedico questo breve studio.
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PARTE PRIMA
TRA ORIENTE E OCCIDENTE: LA LITUANIA COME SPAZIO E STORIA DI UN CONFINE
Quando nel 1915 Stasys Salkauskis si trasferì in Svizzera per iniziare gli studi di dottorato, il suo spostamento dal Turkestan al paese alpino avveniva in un contesto estremamente incerto. Mentre la mobilitazione dell'esercito aveva svuotato le campagne dell'Impero russo di buona parte dell'usuale forza lavoro, l'avanza ta delle truppe tedesche sul fronte orientale aveva spinto sempre maggiori masse di popolazione a cercare rifugio lontano dalle pro- prie case. Tra l'estate e l'autunno del 1915, la popolazione sfollata dai soli governatorati nordoccidentali dell'impero nelle regioni in- terne della Russia zarista superò il mezzo milione di individui.' Ol- tre a rappresentare uno shock culturale per chi era stato obbligato a prendervi parte, la guerra stava ridisegnando la mappa politica d'Europa, ravvivando e modificando le mire dei movimenti nazio- nali degli imperi multietnici. Le autorità dell’Impero zarista, che da inizio Novecento aveva visto aumentare la conflittualità interna su base etnica, sfruttarono fin da subito la sensibilità dei movimenti nazionali per mobilitare la popolazione in funzione anti-tedesca. La promessa fatta a inizio conflitto di concedere ai polacchi una non meglio precisata autonomia per le loro terre dopo la vittoria andava esattamente in questa direzione. Le prospettive derivanti dalla guerra allettavano, tra gli altri, anche i lituani, che da un con- flitto di breve durata speravano di ottenere l’agognata autonomia per i territori della Lituania etnica come già auspicato durante la dieta (seimas) di Vilnius del 1905, prima grande kermesse del mo- vimento nazionale lituano. Sebbene la prospettiva di uno Stato nazionale indipendente sia emersa in seno al movimento lituano solo negli anni successivi, fin dal principio del conflitto la Svizze-
ra divenne uno dei centri in cui la causa lituana venne sostenuta nell'arena internazionale.
Se in Svizzera una certa attività culturale era già visibile pri- ma della guerra a opera degli studenti lituani, con lo scoppio del conflitto l'attenzione si spostò sul lato umanitario e politico. Su iniziativa del sacerdote Antanas Steponaitis venne istituito nel 1915 il Comitato Centrale Lituano per l’Aiuto alle Vittime della Guerra incaricato di raccogliere fondi per i prigionieri di guerra lituani. Al suo interno si radunarono politici come Juozas Puri- ckis, convinti della possibilità di vedere riconosciuta la Lituania l'indipendenza in caso di vittoria tedesca. L'attività umanitaria e politica del Comitato fu accompagnata, non senza screzi, da quella del Bureau d'Information de Lithuanie fondato a Parigi nel 1911 e trasferito nel 1915 a Losanna dal suo stesso fondatore Juozas Gabrys, più volte sospettato dai membri del Comitato di essere al soldo delle forze dell'Intesa. Divenuta una delle fucine di elabora- zione del nuovo ordine europeo, la Svizzera ospitò sei delle dieci conferenze politiche della classe politica lituana tenutesi durante la Prima guerra mondiale3
Salkauskis non rimase insensibile al nuovo ambiente.Tra il suo arrivo in Svizzera e l’inizio degli studi, operò come impiegato nel- le file del Comitato a Losanna. Nonostante il sostegno per la causa lituana, Salkauskis espresse già nel 1916 un'opinione fortemente negativa nei confronti di Gabrys, accusato di essere “un uomo privo di sani principi, specialmente morali, un uomo coerente in una sola cosa: il suo odio per i polacchi [...]"4 Di carattere diametralmente opposto — e sostanzialmente culturale — fu il suo apporto alla causa lituana. Risalgono infatti al 3 e al 17 dicembre 1916 le due confe- renze dal titolo L'Idėe Nationale des Lituaniens tenute a Friburgo presso le società Lituanija in cui il filosofo espresse le sue riflessioni sulla storia della nazione lituana. Proprio i testi delle due conferenze formarono la base su cui si sviluppò nello stesso periodo uno dei principali testi šalkauskiani: Sur les Confins de deux Mondes (1919).
UN TITOLO COMPLESSO: LA LITUANIA COME CONFINE OSMOTICO
In un articolo apparso nel settembre del 1914, l’intellettua- le cattolico Pranas Dovydaitis presentò il conflitto scoppiato
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nell’estate come un evento per nulla eccezionale. La guerra, pur con la sua grande ondata di distruzione, pareva l’ultimo episodio di uno scontro plurisecolare di cui i lituani erano stati osservatori e vittime. Assoggettati al “tragico destino” di condividere un comu- ne Stato con i polacchi, i lituani
continuando a vivere dove per secoli avevano vissuto, dovettero sopportare le difficoltà dell’eterna discordia tra tedeschi e slavi. Ecco, i vicini orientali dei lituani, i russi, continuarono a crescere attraverso la forza del loro Stato, mentre i vicini occidentali, i tede- schi, crebbero in cultura. Quanto i primi tendono a spingersi verso occidente, tanto i secondi da occidente verso oriente. Si è così cre-
ato tra loro un eterno duello e un reciproco odio.’
Dovydaitis rende ragione di un'idea radicata nel discorso pub- blico lituano di inizio Novecento secondo cui lo sviluppo storico della nazione lituana poteva essere visto come la risultante delle lotte incrociate tra polacchi, russi e tedeschi per il predominio sul loro stesso punto di confine. Il modello presentava i lituani come un unicum etnico il cui vissuto storico risultava tuttavia in balìa delle grandi potenze regionali.
Salkauskis non era esente dalla sensibilità a questo schema. In controtendenza con gli indirizzi dominanti, egli cercò di sposta- re il centro dell'attenzione dallo scontro — e quindi dalle potenze regionali — alla nazione lituana e ai suoi rapporti con le grandi potenze vicine che inevitabilmente ne influenzarono le vicende.
Pur nascendo con l'intento di colmare la lacuna sulla Lituania presente nella letteratura internazionale, principalmente interes- sata alla trattazione dei grands peuples, il volume cresciuto dalla ri- elaborazione delle conferenze del 1916 si non si rassegnò a essere una semplice collazione di sguardi. Al contrario, esso rappresentò l'occasione per mettere in opera una nuova visione della storia li- tuana da cui potesse emergere un modello alternativo di lituanita.“
La specifica “originalità” lituana — che rispecchia e riprende gli accenti utilizzati nella pubblicistica d'inizio conflitto a cui ho accennato al principio di questo capitolo — è evidente fin dalla ter- minologia utilizzata nel titolo (Sur les Confins de deux Mondes. Essai synthéthique sur le problème de la Civilisation nationale en Lituanie).
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Il titolo racchiude in nuce i tre concetti attraverso i quali lo sviluppo storico della civilisation nationale en Lituanie viene argo- mentato: l’ Oriente, ovvero la Civilisation gréco-russe, l'Occidente, inteso come l’insieme del mondo polacco e tedesco, e la Lituania, ideale punto di raccordo tra i due poli. Oriente ed Occidente rap- presentano due “mondi” due nuclei culturali: essi si distinguono non solo e non tanto per una differente caratterizzazione geografi- ca, ma per caratteristiche culturali proprie e per due separate sfere storiche al cui interno le individualità collettive nazionali operano.
Più che sulle due parti, l’attenzione di Šalkauskis cade logica- mente sulla Lituania, quel punto mediano? in cui la divaricazione tra Oriente e Occidente al contempo si origina e viene sostenuta. Luogo dello scontro tra i due campi che l’attorniano, il confine šalkauskiano è uno spazio di raccordo e trasformazione. Detto al- trimenti, esso rappresenta il punto in cui la frontiera — ente lineare dello scontro tra i due conglomerati culturali presenti ai suoi bor- di - viene trasformata in spazio di ricomposizione e sintesi delle parti presenti.
Il concetto di limite (Schranken, lett. “barriere”) risulta interes- santemente sovrapponibile al concetto kantiano con cui Salkauskis era verosimilmente familiare. Nei Prolegomena il filosofo tedesco contrappone i confini ai limiti. Mentre i secondi sono “negazioni che affettano una grandezza, in quanto non ha completezza asso- luta” e definiscono per difetto la grandezza sottolineandone quin- di la mancanza di perfezione, i confini collegano la mancanza di assolutezza dello spazio da loro stessi delimitato alla totalità com- prensiva dello spazio esterno. Pur apportando delle delimitazioni alla totalità dello spazio, i limiti non rappresentano, secondo Kant, che una fonte di frammentazione parziale e non esclusiva, poiché per lora tramite si esplica il rapporto di relazione tra la totalità dello spazio e le sue parti.8
La Lituania šalkauskiana è esattamente uno spazio di questo tipo. Caratterizzata, come vedremo in seguito, dalle forme della nazione che la abita, la Lituania — intesa come spazio di storia e cultura — si sviluppa in relazione alla totalità dello spazio che la circonda esercitando su Oriente e Occidente una particolare fun- zione osmotica da cui la ragion d'essere del confine emerge. La funzione del confine — ragione e fine dell’esistenza storica della nazione lituana — può tuttavia essere compresa solo dopo aver pie-
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namente compreso i concetti šalkauskiani di nazione come indivi- dualità collettiva e di civiltà nazionale.
UN'INDIVIDUALITÀ COMPLESSA
Accanto al concetto di confine, Salkauskis definisce accura- tamente fin dall'inizio dell’opera anche una serie di altri concetti su cui si baserà poi la trattazione della materia storica. Significa- tivamente, la trattazione analitica si apre con una citazione tratta dalle lezioni tenute al Collège de France da Adam Mickiewicz negli anni accademici 1842-1844: “Une grande nationalité n’est que le développement d'une grande individualitė'?
L'accento cade immediatamente sulla nationalitė considerata nella sua veste di individualitė e ne evidenzia fin da subito il ca- rattere problematico. Considerare la nazione un'individualita (che, come vedremo, in Šalkauskis è individualità collettiva) significa innanzi tutto avere di fronte i due estremi tra i quali essa rimane in tensione e sull’equilibrio dei quali il concetto baserà la propria validità: la dimensione collettiva della nazione, da un lato; l'orga- nicità del corpo nazionale, dall'altro.
Per spiegare il carattere proprio dell’individualità naziona- le, Salkauskis ricorre al parallelismo tra due coppie di termini, “nationalité” /“nation” e “personnalitė"/'individu" che “[...] résultent de l’ensemble des caractères qui définissent un être et en révè- lent l'existence”? Si tratta, com'è evidente, di termini che sottoli- neano Virriducibilita (étre) dell'individualità e ne sostanzializzano la presenza storica (existence). Come la personalità, così anche la nazionalità è un insieme di caratteri che rivelano la condizione essenziale della nazione nel suo presentarsi come individualità collettiva. Questo, in un rapporto di interazione in base al quale la dimensione collettiva della nazione non fagocita l'individuo e la sua autonomia.
Una veloce schematizzazione ci permettà di capire meglio la strutturazione della nazione ed il valore dei termini utilizzati nel linguaggio šalkauskiano.
L'entità minima individuabile nel mondo è l'individuo.’ Con questo termine Salkauskis indica una struttura neutra, una base
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inanimata su cui s'innestano i caratteri variabili (personnalité)? che trasformano tale base in una persona con proprie caratieristi- che. Analogamente, la nazione rappresenta un insieme di perso- ne'3 (ossia di individui dotati di una personnalité) accomunate dai caratteri propri della nazionalità (moralità, lingua... ).'4 L'analogia rimanda a due distinti ordini di questioni. Da un lato, l'analogia di rapporti tra persona-personalità e nazione-nazionalità indica la natura sociale dell’uomo e della cultura. Proprio la presenza di ca- ratteri unitari (nazionalità) che danno omogeneità all'organismo- nazione analogamente a quanto fatto dalla personalità nei con- fronti dell'individuo rende non solo possibile ma legittimo parlare della nazione come di un insieme di individui che formano un'in- dividualità collettiva. Dall'altro, sebbene “crescano” dall’individua- lità verso sistemi via via più complessi, i termini fondamentali del linguaggio šalkauskiano non si dispongono su una scala che dal singolo arriva all’individualità collettiva secondo un ordine consequenziale. Salkauskis, piuttosto, lavora alla definizione del- la personnalité e alla spiegazione dell’azione della nazionalità sul corpo nazionale, evitando di congelarne la storicità e conservando l'autonomia della personalità nel suo rapporto con la nazione. La nazionalità ed i suoi caratteri tuttavia non ne risultano relativiz- zati. I caratteri nazionali sono, infatti, stabili. L'azione della sin- gola persona - e quindi la combinazione storica dei caratteri della personalità e della nazionalità — costituisce il lato dinamico della nazione e la sua dimensione storica.
H parallelismo tra nazionalità e personalità serve a rendere meglio intelligibili i termini del discorso. Esso, tuttavia, non è di per sé sufficiente a spiegare quale sia la base della coesistenza tra dimensione personale e collettiva in seno alla nazione. La saldatu- ra tra i due poli è tentata con una precisazione:
Aucun autre corps social n'est si organiquement et si inti- mement lié à l'individu que la nation. Aussi, quoi qu'en di- sent les cosmopolites, la nationalité ne cessera jamais d'être pour l'individu un complément naturel et une condition nécessaire de vie intėgrale.'?
Con l'accenno al legame organico esistente tra l'individuo e la nazione, Salkauskis cerca di togliere i possibili dubbi sui termini
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utilizzati nell’introdurre il concetto di individualità collettiva. La nazione come sbocco necessario, naturale della persona si affianca e lega all'unicita del singolo.
L'incontro tra i due estremi del discorso si spinge oltre un semplice accostamento. Essere condizione necessaria di vita in- tegrale, e quindi costituire un legame con la totalità della vita na- zionale, implica per la nationalité e per i processi intersoggettivi da questa stimolati un ruolo centrale nello sviluppo del singolo, specialmente in considerazione che “l'individu isolé est incapable de rien porter à un niveau supérieur” Per mezzo della nazione si realizza quindi quel momento di socialità necessario per il com- pletamento della dimensione vitale dell'individuo, definito sin dal proprio etimo per difetto.
Se l’individualità del soggetto viene sostanzialmente salva- guardata della possibilità di agire in forza della propria dimensio- ne, l'integralità della vita dell'individuo, ossia il legame tra la di- mensione della sua esistenza e quella della nazione tutta, introduce alla più ampia problematica della storicità di quest'ultima. Linte- gralità della vita dell'individuo (che diviene così individu intégral), cui la nazione concorre, inerisce prima di tutto alla valorizzazione dell'attività umana e dell’espressione della personalità. Incapace di portare da solo qualsiasi opera a un niveau supérieur, nella nazio- ne il singolo trova un'indispensabile fonte di crescita e, contestual- mente, contribuisce alla vita della nazione come ente storico.
Di capitale importanza risulta quindi capire in che modo la col- lettività nazionale e l'individuo coagiscano. Šalkauskis, come vedre- mo ampiamente in seguito, spiega la vita integrale dell'individuo in termini di partecipazione attiva alla vita dei due sottocorpi di cui la nazione si compone: il peuple e gli intellectuels. Per ora, basti osser- vare che ciascuno dei due macro-gruppi è portatore di una propria cultura che senza collaborazione con la parte opposta renderebbe impossibile l’esistenza della nazione come ente culturale e storico.
Il rapporto tra vita integrale ed individualità, vale la pena di sottolinearlo, non crea pericoli di aporia proprio grazie al carattere di complemento di socialità proprio della vita nazionale, che pur rappresentando un degré supérieur di sviluppo sociale e culturale, non toglie la libertà individuale. È, anzi, proprio in virtù di una libera scelta, che il singolo entra nel rapporto intersoggettivo e diventa parte del corpo della nazione. Questa relazione necessita
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tuttavia di un prerequisito ovvero la presenza di un linguaggio comune, dato dagli elementi stabilizzatori, propri della razza, ele- menti capaci di abbracciare la diversità degli individui che parteci- pano alla vita della nazione.
NAZIONE E RAZZA
Nella vita degli individui, come abbiamo visto, la nazionalità riveste una funzione importante nella misura in cui essa concorre alla formazione della nazione interagendo con gli altri caratteri che formano la persona. Tuttavia, la nazionalità è, a sua volta, un insieme di caratteri variamente composito.’ Introducendo le ca- ratteristiche delle nazionalità che stimolano la formazione dell'in- dividuo integrale, Salkauskis inserisce nel proprio discorso un ri- ferimento a un “tempėrament ethnique, antérieur à la nationalité proprement dite':'9
Rispetto al termine nation, Vetnia rinvia ad un elemento più profondo, più intimo:
A l'encontre de ce qui s'est passé dans la plupart des peuples euro- péens, la race en Lituanie a maintenu également sa pureté physio- logique et son intégrité psychologique. Or la race aryenne réalise le type le plus parfait de l’humanité primitive en unissant l'intégrité des énergies intellectuelles au sens spontané et docile du ryihme
cosmigue.??
La razza si presenta come un insieme formato da due diffe- renti componenti: caratteri fisici particolari e proprie caratteristi- che psicologiche. Per prima cosa, Salkauskis sottolinea la purezza della razza ariana legando i suoi caratteri ad una terra quasi mitica e slegata da un ambiente storico concreto in cui “ritmo cosmico” ed “energia intellettuale” sono mantenuti intatti nella loro integrità. Il riferimento richiama alla mente le fascinazioni dell’indoeuro- peistica variamente presenti nella storiografia romantica lituana. Uno sguardo più attento può però rivelare delle significative diffe- renze. Salkauskis, infatti, non si limita a un recupero archeologico del passato, ma si sofferma sui caratteri attuali della costituzione razziale mettendone così in relazione l'elemento metastorico (im-
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manente) con il lato propriamente dinamico (storico). Bisognerà quindi analizzare tre ordini di questioni: come la razza possa con- vivere in un contesto dominato dalla mutevolezza, quali siano le sue prerogative nel rapporto con il cambiamento e quali “esigenze” essa porti nel contatto con il mondo storico in cui si trova.
Il riferimento alla purezza e ad elementi di stabilità lascia pensare che Salkauskis elabori le sue considerazioni sul valore della razza prendendo spunto dall'opera di Gustave Le Bon. Il so- ciologo francese, citato da Salkauskis nella bibliografia di riferi- mento dell’opera oggetto della presente analisi, viene solitamente ricordato per la sua Psychologie des Foules (1895). Nella sua vasta (e multiforme) produzione troviamo anche Lois Psychologique de [Evolution des Peuples (1894), sua prima opera a stampa. Proprio con questo testo pare possibile stabilire un proficuo raffronto.
Fin dalla prima pagina del libro di Le Bon troviamo alcuni riferimenti in grado di far luce sulle questioni che ci siamo posti:
La race est la pierre angulaire sur la quelle repose l'équilibre des na- tions. Elle constitue la limite psychologique assignée aux ambitions des conquérants, aux rêves d'hėgėmonie, qu'ils peuvent former.?!
La razza è un punto deguilibrio: in essa già riposano, in po- tenza, le possibilità di sviluppo future, la possibilità di realizza- zione delle proprie aspirazioni. Il limite psicologico di cui Le Bon parla determina la stabilità di ciascun contesto razziale. Quello apportato dalla razza è, prima di tutto, un equilibrio interno: ** essa è fonte di equilibrio tra chi condivide i caratteri razziali, è garanzia di ordine tra diverse capacità (e ruoli) che non possono essere mutate e assicurano la stabilità in un contesto di variabilità sovraindividuale. Prendendo come termine del discorso le nazioni possiamo vedere come quelle appartenenti ad una stessa razza ri- trovino proprio nella comune matrice razziale l'origine dell'ordine internazionale. Come nella strutturazione della nazione un ordine (collaborativo) regola ed equilibra i rapporti tra le parti, così anche a livello internazionale è possibile individuare la fonte dell’equi- librio?3 tra le forze nazionali nella loro appartenenza ad una co- mune razza che si presenta come schema per un ordinata convi- venza tra i suoi sottoinsiemi nazionali. Come vedremo più avanti,
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Šalkauskis parlerà, pur senza espliciti riferimenti alla razza, di un ordine internazionale guidato da missioni nazionali come espres- sione di un equilibrio già stabilito tra le nazioni.
L'analisi leboniana sottolinea come la razza si caratterizzi sì per una determinata costituzione fisica, ma soprattutto per una particolare costituzione mentale. La particolarità fisiologica è rele- gata ad un ruolo secondario: Le Bon riconosce le razze come stori- che? e quindi slegate da una staticità che le posizionerebbe su un piano totalmente altro rispetto a quello della storia e le identifiche- rebbe con caratteristiche fisiche troppo stringenti.”
Ciò, tuttavia, non significa, che la razza sia modificabile, se non in tempi estremamente lunghi. Le leggi psicologiche che re- golano la vita dei diversi popoli guidando le reazioni nei confronti di un determinato accadimento o situazione ambientale costitui- scono per lui il caractère national, secondo un insieme di regole svincolate dal tempo breve della contingenza. La comune razza fa pertanto da elemento d’equilibrio tra le differenze che i singoli popoli e i singoli individui presentano.
È comunque parlando della dimensione collettiva della razza che Le Bon rende ragione in modo più esteso della propria visione e specialmente del rapporto tra razza e tempo:
Chaque individu d'une race a, lui aussi, une vie individuelle très courte et une vie collective très longue. Cette dernière est celle de la race dont il est né, qu'il continue à perpétuer, et dont il dépend toujours. Nous devons donc considérer la race comme un ėtre per-
manent, affranchi du temps.”
Quello della razza è un mondo in cui il soggetto nasce e vive. La sua “composizione” appare praticamente impossibile da mo- dificare e inserita in una dimensione temporale dilatata, in cui essa è principio di unitarietà trasversale. La razza, in definitiva, riveste il ruolo di stabilizzatrice, di punto di equilibrio tra gli in- dividui e le nazioni che ne fanno parte grazie alla sua vita lunga ossia alla continuità dei caratteri razziali che fa da contrappeso allo scorrere del tempo storico. Non è difficile capire come il di- scorso di Salkauskis vada nella medesima direzione: un concetto di razza ugualmente costituito da principi svincolati dalla con- tingenza risulta indispensabile per dare fondamento permanen-
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te alla nazione lituana, che si ritrova ad agire in un contesto ge- ografico e politico estremamente mutevole e con vicini potenti.
Parlando di razza Salkauskis sembra, tuttavia, riferirsi a un tipo ideale, non rintracciabile nella sua manifestazione concreta “pura”. Il rapporto tra razza e singoli popoli risulta, infatti, diversi- ficato. Non è la razza tout court a entrare in contatto con i popoli, ma determinate sue caratteristiche. Si chiariscono in questo modo il ruolo e le fattezze dell’etnia e del tempérament ethnique.
Se la razza (pura) non è storica, ma nella storia si possono incontrare alcuni dei suoi caratteri come fonte di stabilità della na- zionalità, allora l'etnia, anthérieurfe] à la nationalité propriement dite può esser vista come il punto di congiunzione tra razza (tipo ideale) e persona concreta (personne, asmuo). L'etnia — supponia- mo procedendo per deduzione logica, senza che vi siano esplicite conferme delle nostre ipotesi nei testi šalkauskiani — rappresenta quella gamma di caratteri derivanti dalla razza, e non modificabili in quanto tali, che garantiscono la permanenza dei caratteri nazio- nali. Una garanzia che, del resto, non limita la varietà delle forme storicamente assunte dall'elaborazione culturale e politica delle individualità collettive e in cui si esprime una rete di relazioni che vanno dalla persona alla nazione. La convergenza tra nationalité e razza, in definitiva, si spiega secondo una diversità complementa- re: la seconda, come ideale ricostruito contiene gli elementi stabili della prima, che invece si modifica ed assorbe al suo interno gli apporti culturali “molteplici” delle persone che compongono la na- zione nella sua esperienza storica.
Su questo sfondo diviene chiaro che la storia è il luogo in cui razza e nazionalità si sviluppano e possono esistere. L'unico mo- mento concretamente storico della razza - l’unica sua maifestazio- ne — è la nazione, la sola vera portatrice della nationalité, i caratteri nazionali tra cui trovano posto anche quelli di tipo etnico-razziale. Perché un insieme di caratteri di tipo diverso, schematicamente ri- ducibili ai due tipi etnico-razziale e storico-culturale, costituiscano una nationalité occorre che vi sia un soggetto a farsene portatore, la nazione, che li ha elaborati come sua propria nationalitė nel suo concreto esistere, fatto di individui e di gruppi. La nationalitė non esisterebbe senza la nation come concreto soggetto storico.
Lo sviluppo storico della nazione lituana pone tuttavia dei
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problemi interpretativi e mette alla prova la validità stessa delle categorie šalkauskiane. Fedele alla tradizione maironiana che con- siderava il periodo della crescita dei ducati medievali lituani come l'età dell'oro dello Stato lituano e dello sviluppo culturale della nazione, Šalkauskis indica l'unione matrimoniale del 1387 tra il granduca Jogaila ed Edvige di Polonia e la nascita della Repubblica nobiliare polacco-lituana nel 1569 come le prime tappe della dena- zionalizzazione dei lituani. Scrive Salkauskis:
C'est alors [nel xvin! secolo], en effet, qu’au sein de la constitution lituano-polonaise eut lieu la liquidation de l'Etat lituanien. Cette liquidation fut double, extérieure et intérieure. Celle du dedans fut la suite de la dénationalisation des classes dirigeantes ; elle fut an- térieure à celle di dehors qu'elle prépara et rendit possible en ser- vant inconsciemment la politique avide des puissances voisines.”
La suddivisione del corpo della nazione in due gruppi — il popolo e gli intellettuali (la classe dirigente) a cui abbiamo pre- cedentemente accennato su rivela funzionale alla spiegazione del rapporto tra snazionalizzazione e sopravvivenza della nazione. La snazionalizzazione di cui Salkauskis parla ha come elemento cen- trale la perdita di lituanità della sola classe dirigente. Ciò nono- stante, si pone il